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giovedì 18 gennaio 2024

"Chi mangia insieme rimane insieme": la solidarietà laica delle Cucine Popolari di Bologna contagia l'Emilia-Romagna e l'Italia

La Cucina del Sorriso di Cervia

“Quando si mangia insieme si rimane insieme”. È la frase chiave di Old Oak, l’ultimo film di Ken Loach. La pronuncia l’oste TG Ballantyne con i clienti del vecchio pub riottosi con i nuovi vicini, i profughi siriani. “Questa è solidarietà non carità”, dice. Viene in mente quel film pensando alle Cucine Popolari inventate da Roberto Morgantini, l’ex sindacalista della Cgil dal cuore grande nominato da Mattarella “Commendatore della Repubblica”. Una solidarietà laica a quanto pare contagiosa. Che si è consolidata a Bologna, dove le Cucine sono ora quattro, con 280 volontari che preparano e servono 600 pasti al giorno alle persone più fragili e dove l’obiettivo è arrivare a sei, una per quartiere. Si è allargata in Romagna con l’apertura della Cucina di Cesena (partita due anni fa poi travolta dalla disastrosa alluvione del maggio scorso e rinata da poco) e, dall’inizio del nuovo anno, di quella di Cervia. Sta prendendo forma progettuale a Santarcangelo di Romagna, a Modena e in altre città emiliane, ed ha già varcato i confini regionali sbarcando a Genova e a Ischia.

Morgantini con alcuni volontari a Cervia

Nella città dove sono nate con il logo del tortellino (Cucine Popolari Bologna Social Food) sono diventate punto di riferimento per una miriade di iniziative e ormai c’è la corsa a fare qualcosa con e per il vulcanico Morgantini, il “sindaco della solidarietà”. Per dare una mano alle Cucine - cresciute senza alcun finanziamento pubblico e che tutt’ora vivono solo di donazioni private e volontariato - si sono mobilitati in tanti: mondo economico, realtà associative, artisti famosi, l’intellighenzia cittadina. Un circolo virtuoso che va dalla vecchietta che si presenta con la sporta di viveri o stoviglie, al forno che dona le rimanenze di pane, pizze e brioches; dal piccolo negozio e dalla grande distribuzione che ogni giorno riforniscono cuochi e magazzino di derrate alimentari, alle donazioni in denaro o beni di valore (le ultime, un assegno della Banca d’Italia e un Fiorino per il trasporto delle vivande, dal Rotary); dalle decine di sfogline e sfoglini che vanno a fare i tortellini, al panino o allo spettacolo “sospeso” per chi non se lo potrebbe permettere, ai pranzi e alle cene di autofinanziamento. Una macchina complessa che consente di mettere a tavola o distribuire un pasto ai meno fortunati del quartiere di residenza vagliati dai servizi sociali, dal lunedì al venerdì (ma anche nelle festività più importanti), avviando contatti, relazioni, socialità. “Perché la nostra solidarietà non è un gesto di carità, è un percorso di vicinanza e inclusione contro la povertà e la solitudine, un modo di aiutare chi ha bisogno che arricchisce chi riceve ma anche chi dà”, ripete sempre il fondatore. Questo mentre la schiera dei nuovi poveri e dei soli cresce di giorno in giorno anche nella ricca Bologna, coinvolgendo sempre più spesso pure chi un lavoro e una casa ce l’ha.

L’ultima nata dall’esperienza bolognese, che è anche un bell’esempio di economia circolare e lotta allo spreco (non a caso tra i sostenitori di Morgantini c’è l’inventore di Last Minute Market, Andrea Segrè), è la “Cucina del Sorriso” di Cervia, inaugurata ufficialmente nei giorni scorsi dal sindaco della città Massimo Medri e dal presidente della Regione, Stefano Bonaccini, con Morgantini a fare da testimonial. Un progetto e una formula diversa che vede l’impegno finanziario diretto dell’ente pubblico, in collaborazione con la Cooperativa San Vitale e con altre realtà associative del Cervia Social Food, ma con le stesse finalità. Una cucina nuova di zecca, una bella sala piena di luce, le sedie di legno impagliate e colorate, tavoli apparecchiati con le tovaglie di cotone, i piatti in ceramica, le posate d’acciaio, i bicchieri di vetro come al ristorante. Un ristorante particolare, aperto dal lunedì al sabato, dalle 12 alle 14, che accoglie gratuitamente i più bisognosi e, con un contributo di otto euro, anche chi, per varie ragioni, non può mangiare a casa o non vuole sentirsi solo. I cuochi della “Cucina del Sorriso” sono i cuochi professionali dei ristoranti di Cervia, che a turno, ogni giorno, guidano gratuitamente i volontari nella preparazione del pranzo, servito ai tavoli dai ragazzi con disabilità del centro socio-occupazionale Ikebana.

La sartoria sociale a Cervia

Il progetto è completato da altre iniziative particolari. C’è l’emporio solidale, attivo già da alcuni anni a Cervia, dove le persone in maggiore difficoltà possono accedere gratuitamente a beni di prima necessità. C’è il Centro del riuso, convenzionato con Hera e Last Minut Market, che riporta a nuova vita mobili, elettrodomestici, attrezzature e oggetti dismessi ma ancora funzionanti. C’è la Sartoria sociale Risvolto, che nel negozio gestito sempre dai ragazzi di Ikebana (dov’è attivo anche un laboratorio di sartoria) rimette in vendita i migliori abiti di seconda mano arrivati con la filosofia dell’economia circolare. E c’è perfino la farmacia letteraria, “Libridine”, che dà una seconda vita ai libri usati donati dai cittadini e raccolti dai volontari, un po’ come fanno a Bologna quelli dell’associazione Equi-Libristi.

domenica 31 dicembre 2023

L’oroscopo politico semiserio per il 2024 dell’astrologo de “Il Presidente di Luna Nera” con le pillole di saggezza di Bersani



GENNAIO. Donne con le palle. Wonder Meloni proclamata “uomo dell’anno” da Libero, il giornale diretto dal già portavoce del “signor Presidente del Consiglio”, Mario Sechi, servo dell’anno.


Scoperta la causa della “sindrome otolitica” che ha colpito il premier. Gli otoliti, i “sassolini” nelle orecchie che le hanno fatto perdere l’equilibrio e l’orientamento erano in una missiva segreta ricevuta da Macron e Scholz: “Mò so cazzi tua”. Il giorno dopo è arrivata la telefonata di Mattarella: “Abbiamo tremila miliardi di debito, cinquantamila euro per ogni italiano alla nascita, il 150% del Pil, e lei dichiara guerra all’Europa? Salga a bordo, cazzo! E torni donna che è meglio”.
Pierluigi Bersani: “Ora la voglio vedere rimettere il dentifricio nel tubetto”.

FEBBRAIO. L’Italia e le guerre. Il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, quello che “arrivò una berlina, si aprì lo sportello, non scese nessuno, era Tajani”, assicura a Kiev l’ottavo pacchetto di aiuti italiani. Ma il pacchetto è… un pacco. Il disperato Zelensky - prima elevato a campione di libertà e democrazia, ora evitato come i mendicanti di strada – si infuria: “Chi è il responsabile?” “Nessuno”. “Che significa Nessuno?” “Che nessuno ti caga più”.

Intanto Israele sta finendo di spianare Gaza. La Striscia è rasa al suolo nel silenzio dell’opinione pubblica occidentale, ma non di Nessuno: “La posizione dell’Italia è chiara e ferma: il legittimo diritto di difesa sia proporzionato all’offesa e tuteli i civili palestinesi”. Poi, vedendo le facce stralunate dei giornalisti, chiede al suo staff: “Sono stato troppo duro?”
Bersani: “O si va a messa o si sta a casa”.

MARZO. Taci, il nemico ti ascolta. Wonder Meloni ci ricasca. Parla per tre quarti d’ora al telefono con due comici romagnoli che si spacciano per Macron e Scholz. Gli audio fanno il giro del mondo. Questi alcuni passaggi: “No Emmanuel, non ce l’avevo con te. Sì, lo so che sui migranti ci siamo scazzati, ma non ho mai detto che sei un mangialumache infantile e insicuro che si è sposato la mamma. È stato quel bimbominkia di Salvini. Sì, sì, va bene, chiudi pure le frontiere, però poi sostienimi sui lager in Albania”.

“Olaf, non ti incazzare. Sì, ho detto no al Mes perché tu e Macron mi avete esclusa dalla trattativa sul Patto di stabilità facendomi fare la figura di quella che non conta una sega in Europa. Ma voi siete forti, le vostre banche non rischiano, che ve frega del Mes? No, dai, non dire che non comprerete più i nostri titoli di Stato e ci farete fare la fine della Grecia: già ho Mattarella in schiena. Sì, d’accordo, non romperemo più sulle navi Ong, non faremo i furbi sul Pnnr e sul riarmo, non faremo più battute sugli ebrei e l’invasione della Polonia, stenderemo tappeti rossi a Lamborghini e Ducati. Però voi basta con gli aiuti a Zelensky e al Parmesan”.
Bersani: “Lei vorrebbe sempre il tortello a misura di bocca”.

APRILE. L’antifascismo dei fascisti. Come ogni anno quando si avvicina il 25 aprile una contagiosa paralisi mandibolare impedisce ai fascisti di pronunciare le parole “fascismo” e “antifascismo”. Proprio non ce la fanno. Wonder Giorgia, dopo aver esaurito tutti i sinonimi – regime, dittatura, totalitarismo, leggi razziali, olocausto, gulag, foibe, il centro sociale della Garbatella – nel giorno della Liberazione prende finalmente le distanze in modo chiaro dal fascismo: quello di Putin. Lollobrigida chiarisce: “In Italia l’unico fascismo che conosciamo è quello degli antifascisti”. La Russa, che tiene il busto del Duce in salotto e dice che i partigiani in via Rasella non spararono ai nazisti “ma a una banda musicale di pensionati altoatesini”, annuncia che celebrerà il 25 aprile in Turkmenistan. Salvini sorvolerà avanti e indietro per tutta la mattina lo Stretto di Messina per mostrare a parenti e amici dove sorgerà e come sarà il ponte, e al figlio maschio farà provare l’ebbrezza di pilotare l’elicottero della Polizia messo gentilmente a sua disposizione. Bignami e Donzelli, invece, festeggeranno con una goliardata in divisa nazi a casa del sottosegretario Delmastro.
Bersani: “Ehi ragazzi, siete mica qui ad asciugar gli scogli. L’antifascismo È la Costituzione”.

MAGGIO. L’omo è omo. Il Gay Pride invade le strade della Capitale. Tre milioni di persone (trentamila per la Questura) marciano, cantano e ballano per la libertà sessuale e per chiedere la legge contro l’omotransfobia. Polizia e carabinieri hanno l’ordine di filmare e schedare i diversi promotori del pride ma si perdono tra le sigle del movimento, nel frattempo leggermente cresciute: LGBTQIAP+@#-ZH=CHIMANCA? La seconda carica dello Stato, La Russa, che è anche interista, dichiara: “Meglio un figlio milanista che un figlio gay”. Il generale Vannacci schiera l’esercito e manda un messaggio conciliante: “Cari capi della lobby gay internazionale, voi finocchi e voi fattucchiere proprio normali non siete”.
Bersani: “Se lui dà dell'anormale agli omosessuali, noi possiamo dare del coglione a un generale?”.

GIUGNO. Europee alla sperindio. Colpo di scena alle elezioni. I partiti sovranisti, dati per superfavoriti, escono sconfitti. Male anche socialisti, socialdemocratici, centristi e conservatori. Avanzano i movimenti radicali, ambientalisti e pacifisti, il partito che non c’è del Papa, nuove formazioni politiche: Risveglio, Larghe Vedute, Partito della Salvezza Trasversale, della Riscossa, delle Incompatibilità. Male il centrosinistra alle amministrative in Italia. Vince solo in Veneto, Friuli e nel Trentino-Alto Adige, dove i candidati più di sinistra sono a favore della ghigliottina in piazza per ladri, spacciatori, tossici, zingari e neri. Il Pd, diviso tra sinistri-radicali, sinistri semplici, sinistri moderati, centrosinistri, centristi di sinistra e centristi moderati, torna a fare il morto sperando che passi ‘a nuttata.
Bersani: “Non è che puoi fare una scarpa e una ciabatta”.

LUGLIO. Democratura modello Benito. Prima di andare in vacanza, le destre forti della maggioranza assoluta in Parlamento approvano le riforme elettorale e costituzionale. Dal “Rosatellum” si torna al “Porcellum” ma “4.0”. Si saprà chi ha vinto prima di votare e chi è il premier eletto direttamente dal popolo prima che venga eletto. Il restante “2.0” andrà all’opposizione, ma solo se giurerà fedeltà ai nuovi padroni del “potere del popolo”. Una volta insediata, nei primi cento giorni la nuova “Democratura Benito” rottamerà, nell’ordine, il Senato, le varie Autorità indipendenti, la Commissione antimafia, il Tar, l’Anci, l’Upi, la Lega calcio che secondo Salvini non tutela il Milan, l’Anpi e l’Arci che stanno sulle palle a Donzelli e Lollobrigida e un unico Ordine professionale, quello dei giornalisti odiati da Giorgia. Nei secondi cento giorni verrà archiviato il Quirinale, ormai inutile orpello del Libero Stato di Melonas. Mattarella questa volta si porta via anche un paio di corazzieri di difesa nel caso dovessero tornare a cercarlo a casa.
Bersani: “La mucca nel corridoio era un toro e ci è passata sopra”.

AGOSTO. Migrante è un gerundio. Riprendono massicci gli sbarchi a Lampedusa. Da quando Meloni ha dichiarato la caccia agli scafisti su tutto il globo terracqueo sono aumentati del tremila per cento. Nuovo accorato appello di Lollobrigida contro il rischio della sostituzione etnica. Vannacci: “Inutile girarci attorno, nelle mie vene c’è una goccia del sangue di Enea, Romolo e Remolo, Giulio Cesare, Mazzini e Garibaldi; il sangue e i tratti somatici di Paola Egonu e di quelli come lei ci dicono che non saranno mai italiani”. Poi manda l’esercito a presidiare le coste, ma i mezzi anfibi affondano più dei barconi, qualcuno colpito dalla Marina. Piantedosi: “Non bastavano quelle famiglie sciagurate dei vucumprà che mettono in pericolo i loro figli lasciandoli partire sui barconi. Ora vi ci mettete pure voi…”. Mentre si consuma la tragedia, Meloni e Salvini partecipano a un karaoke a casa Verdini, in solidarietà con l’intera famiglia agli arresti domiciliari, e pensano a come sbolognare “i carichi residui”.
Bersani: “Volevano piantare un chiodo sull’immigrazione, finiranno come il coniglio davanti al leone”.

SETTEMBRE. La scuola balilla. Le aule riaprono all’insegna delle novità educative. Crocefisso in tutte le aule, torna l’ora di religione obbligatoria, le ragazze non potranno indossare vestiti succinti e il velo, introdotto il criterio dell’umiliazione, che il ministro Valditara considera “fattore fondamentale della crescita e della costruzione della personalità”. Novità anche sull’educazione sessuale: dopo l’esonero di Paola Concia sarà affidata alle Suore Orsoline. Per il contrasto alle violenze di genere affidato un incarico al merito ad Andrea Giambruno per il suo prezioso consiglio di vita dato alle donne: “Se eviti di ubriacarti non trovi il lupo”. La storia verrà insegnata sulla base di un nuovo storytelling alternativo alla vecchia cultura di sinistra. I testi per costruire l’egemonia culturale della destra sono scelti dal ministro Sangiuliano, che però non li ha letti. Per la prima volta entra nella didattica la sovranità alimentare, saranno vietati i panini col kebab a merenda. Lollobrigida terrà il primo incontro in classe a Caivano. Per evitare nuove polemiche, la fermata “ad ministrum” del Frecciarossa sarà programmata: “Così sono certo di poter spiegare agli studenti la mia legge sulla carne coltivata”. Che ancora non esiste.
Bersani: “Quando si ha poca intelligenza bisognerebbe almeno usarla tutta”.

OTTOBRE. Il lavoro povero nobilita l’uomo. Dopo aver affossato la proposta delle opposizioni del salario minimo a nove euro, il Governo lancia la sua strategia per aumentare gli stipendi. Lollobrigida: “Non siamo in Unione Sovietica dove le paghe dovevano essere tutte uguali. Noi faremo correre la Nazione come il mio Frecciarossa per dare stipendi diversificati e più ricchi in base al merito. Prima gli italiani e dopo, siccome non siamo razzisti, anche alle badanti ucraine, alle infermiere di colore e alle massaggiatrici cinesi. Ai negri maschi per ora no. Ma loro li useremo soprattutto in agricoltura dove potranno cibarsi gratis sugli alberi”. Le agenzie però dicono che la crescita sarà zero virgola, che i salari italiani sono fermi da trent’anni, un terzo dei lavoratori guadagna meno di 15mila euro l’anno e l’Italia è il fanalino di coda in Europa. “E allora spieghino perché i ristoranti sono tutti pieni. Che poi i poveri mangiano a casa loro meglio dei ricchi”. 
Bersani: “Il maiale non è tutto di prosciutto. Neanche se l’ammazza Lollobrigida”.

NOVEMBRE. Far West Italia. Arrivano in porto anche la riforma della giustizia e le nuove misure per la sicurezza. Stop allo strapotere delle toghe rosse. Le carriere dei magistrati saranno divise: andranno avanti solo quelle di destra. Per quelli di sinistra verrà istituita una apposita “giustizia della mutua”. I giornali non potranno più pubblicare intercettazioni, mandati di arresto, i nomi degli indagati e i verbali di interrogatorio fino al terzo grado di giudizio. Per i “figli di”, varranno come prova a discapito le testimonianze dei padri. Tipo quelle di Grillo e La Russa: “Dopo averlo a lungo interrogato ho la certezza che mio figlio Apache non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante”. Per gli altri due figli, Geronimo e Cochis, nel caso di guai si sentirà direttamente Manitù. I poliziotti saranno liberi di girare armati fuori servizio, anche i sedicenni potranno avere un fucile e andare a caccia, ma si potrà sparare liberamente agli intrusi solo a una certa età.
Bersani: “Quando gli scappa la frizione, gratta gratta viene fuori la destra fascista di sempre”.

DICEMBRE. Dio, Patria e Famiglia. Il piatto piange. Dio è morto, la Patria pure e anche le famiglie non si sentono molto bene. Le guerre continuano, l’Italia è più povera, conta meno nel mondo, è più isolata in Europa. Debiti tanti, soldi non ce n’è più. Però Wonder Meloni si è confermata “uomo dell’anno”. Nel senso che è stata in prima fila contro le donne. Tagli a “opzione donna”, niente parità salariale, niente congedo paritario per i genitori, niente nidi gratis, aumento dell’Iva su pannolini e assorbenti. Ma con una missione: fare figli. Sul resto non è andata meglio. Nelle tasche dei lavoratori pochi spiccioli in più e le solite paghe da fame, con l’inflazione che galoppa e senza più il reddito di cittadinanza per chi è ai margini. Poi tagli alla sanità pubblica, al welfare, niente fondi aggiuntivi per le disabilità e l’autosufficienza. In compenso ricchi e diseguaglianze in aumento. Così come l’evasione fiscale, favorita dalle politiche “contro il pizzo di Stato” e salita a 110 miliardi di euro. Non c’è da stare allegri. Ma presto verrà Natale e tutto il mondo cambierà. Noi, nel frattempo, speriamo che ce la caviamo.
Bersani: “Se bevi l'acqua non dimenticarti di chi ha scavato il pozzo”.

giovedì 14 dicembre 2023

La ragazza ribelle a teatro: a Faenza e Bologna due serate da incorniciare

 

Smaltita l’adrenalina vi racconto un po' meglio com’è andata. È stata un’emozione collettiva unica. Una serata fantastica, di quelle da mettere nella cassaforte dei ricordi belli della vita. La sala del Teatro Fellini di Faenza era piena la sera di martedì 12 dicembre. Quando da una porta laterale è entrata Nunziatina sulla sua carrozzella spinta dai volontari della Pubblica assistenza, è scoppiato l’applauso fragoroso e spontaneo di tutti. Una vera e propria ovazione. Lei, novantasette anni, un passato da rubacuori, fresca di parrucchiera, il rossetto sulle labbra, le mani curate, subito è sembrata stranita, l’espressione dura, quasi intimorita da quell’abbraccio. Poi piano piano ha cominciato a sciogliersi. “Ciao Nunzia, come stai? Visto che accoglienza?”. “Mi viene da piangere”, ha sussurrato regalandomi un sorriso.

Poi le luci si sono spente ed è cominciato lo spettacolo. La compagnia del laboratorio teatrale di Eleonora Napolitano – in quel contesto coinvolgente e da grandi occasioni – ha sfoggiato il meglio di sé. Una interpretazione sentita, ispirata. Nove donne, nove “Nunziatina” a dar corpo a una narrazione corale che ha dato ancor più spessore e pathos alla storia di per sé incredibile e potente di Annunziata Verità, sopravvissuta alla fucilazione fascista a diciotto anni, combattente indomita tutta la vita, partigiana e pasionaria sempre. Una storia che a quasi cinque anni dalla pubblicazione de “La ragazza ribelle” continua a camminare e a regalarmi grandi soddisfazioni (qui racconto il suo incredibile viaggio https://visanik.blogspot.com/2023/12/il-viaggio-sorprendente-de-la-ragazza.html

Per un’ora e mezza il pubblico è rimasto in apnea. Quando il sipario è calato sulle note di Bellaciao e si sono riaccese le luci, molti avevano gli occhi umidi. Un altro lungo applauso poi la voglia di tutti di accostarsi a Nunziatina per dirle una parola, porgerle una carezza, ringraziarla per quello che ha fatto, per quello che la sua storia ancora oggi – anzi, oggi più che mai - trasmette. Perché, per dirla con le sue parole, “ci sono ancora eh, stanno tornando, e io non lo voglio più vedere il fascismo”.




Una bellissima serata frutto dell’impegno di tutti, a cominciare da quello del Comune di Faenza, in particolare del presidente del Consiglio comunale Niccolò Bosi che ha creduto al progetto e sostenuto direttamente l’iniziativa, patrocinata anche dall’Anpi, l’Associazione dei partigiani. Ma grazie soprattutto all’impegno di quel bellissimo gruppo di attrici e attori non professionisti di Pomezia che hanno messo in scena un’idea originale dello spettacolo (le nove Nunziatina, la narrazione corale della storia) e una interpretazione appassionata e di qualità, di grande impatto, entrambe vincenti.

Uno spettacolo a costo bassissimo (non c’è stato cachet, solo accoglienza) che spero possa avere altre repliche e viaggiare ancora molto in Italia. Fossi un sindaco, un assessore, un dirigente dell’Anpi, un coordinatore delle iniziative sulla memoria o un promotore culturale dell’Emilia-Romagna, cercherei di portarmelo a casa in vista del prossimo 25 aprile e dell’Ottantesimo della Liberazione.

Sono molto grato anche ai nipoti di Nunziatina, Federica e Alessandro, e a Caterina, che come sempre si sono presi cura di lei e l’hanno preparata al meglio per portarla ad assistere alla rappresentazione ad alto tasso emotivo della sua storia. C’era qualche timore sull’effetto e le reazioni che avrebbe potuto determinare. Invece… “Lei oggi sta bene – mi ha scritto Federica l’indomani mattina – ha dormito, è contenta, lo spettacolo le è piaciuto, ha riconosciuto le persone, aperto il regalo che le è stato fatto dagli attori della compagnia, le è piaciuto anche quello. Grazie, siamo pronti per il prossimo appuntamento”. Così come sono grato al pubblico, non solo di faentini, che ha risposto alla grande. Grazie della vostra partecipazione, dei vostri commenti, del calore e dell’affetto che avete trasmesso a Nunziatina e anche a me.


La sera prima, lunedì 11, lo spettacolo aveva debuttato a Bologna, al Centro civico Lame Borgatti del Quartiere Navile. Un’anteprima resa possibile dall’impegno delle Cucine Popolari di Roberto Morgantini & co. (che hanno ospitato la compagnia teatrale al Battiferro in un pranzo che è stato anche una piacevolissima occasione di conoscenza e scambio di esperienze) dalla collaborazione dell'Anpi e dal patrocinio del Quartiere. Una sorta di prova generale che è andata bene ed è  stata anch’essa molto apprezzata dal pubblico. La serata si è conclusa con un bel brindisi collettivo tra attori della compagnia, amici e compagni. 

Per finire, un grazie davvero di cuore a tutti quelli che anche a Bologna hanno dato una mano o ci sono stati (in particolare a Roberto Morgantini, ai cuochi e volontari delle Cucine, a Daniele Ara, a Donatella Allegro e agli amici della balotta). È stata un po' una scommessa, sono state giornate intense, ma ne è valsa la pena.

sabato 2 dicembre 2023

Il viaggio sorprendente de "La ragazza ribelle" che ora approda a teatro: lunedì 11 dicembre a Bologna e martedì 12 a Faenza, la città di "Nunziatina"

Ci sono storie che si impongono da sé. Camminano col passaparola per la loro forza intrinseca. Arrivano alle persone per le emozioni e l’empatia che emanano. Valicano montagne e confini per il valore che rappresentano. Quella di Annunziata Verità è una di queste. Quando la scoprii, e lei decise di regalarmela raccontandomi quello che non aveva mai raccontato, ne scrissi un libro, “La ragazza ribelle”. Un romanzo breve ispirato alla sua incredibile vicenda umana e politica: la storia da film, ma vera, di “Nunziatina”, staffetta partigiana in quel di Faenza, sopravvissuta il 12 agosto 1944, a soli 18 anni, alla fucilazione fascista. Venne solo ferita, si finse morta sotto i cadaveri dei suoi quattro compagni di sventura, riuscì a fuggire, a raggiungere sui monti prima i partigiani della Banda Corbari poi quelli del Gap faentino, a salvarsi. Finita la guerra partecipò a una ventina di processi, con le sue testimonianze contribuì a far condannare i criminali della Brigata Nera che l’avevano presa di mira, poi, quando tra condoni e amnistie quelli tornarono presto liberi, lei, piccola e minuta com’era, li andò a cercare. Alcuni li trovò, gliene disse quattro, a uno riuscì pure a sferrargli un pugno in testa, li mostrò per i vigliacchi che erano, li costrinse alla fuga, a sparire dalla circolazione. Una forza della natura, la “Nunzia”, che oggi ha novantasette anni e ci mette ancora in guardia dal fascismo e dai fascisti: “Sta tornando. Ci sono ancora, eh!”. Una delle figure simbolo del ruolo di primo piano, troppo spesso sottovalutato, delle donne nella Resistenza.
Proposi questa storia potente e il libro a due editori importanti, uno nazionale e uno locale. Non erano interessati. “Un’altra memoria partigiana? Ce ne sono già troppe. Sono passati ottant’anni. Non vanno più”. Così lo pubblicai artigianalmente con un piccolissimo editore faentino, Cartabianca. Era il 2019. Editing e promozione a carico mio, con il sostegno dell’Anpi. E lì è cominciato il più bel viaggio della mia vita di apprendista scrittore. La prima presentazione a Faenza in una sala del Consiglio comunale strapiena con l’allora presidente nazionale dell’Associazione partigiani, Carla Nespolo, scomparsa un anno dopo; le centinaia di persone strette attorno a “Nunziatina” a Cà di Malanca, luogo simbolo della Resistenza, col compianto Ivano Marescotti a leggere brani del libro; la partecipazione emotiva dei ragazzi delle scuole medie e superiori affascinati dall’incontro con quella donna che lì diventava la coraggiosa e mitica nonna di tutti; gli inviti ai 25 aprile di mezza Romagna, nelle città come nei paesini, che non si fermavano più e dopo quasi cinque anni ancora continuano ad arrivare. Decine di uscite, molte con “Nunziatina” presente, sempre fresca di parrucchiera, smalto e rossetto, da vera star. La gioia di rivederla rinata, energica, tosta come sempre è stata nella sua vita, felice di quegli incontri soprattutto con i ragazzi.

Un viaggio ricco di emozioni e soddisfazioni, dicevo, che non si è ancora concluso. Tre ristampe, il piccolo libro artigianale che arriva dove non te lo aspetti, Annunziata Verità cercata e intervistata dai giornali e dalle televisioni, la sua storia che entra in un programma nazionale di Mediaset sulla guerra, arriva chissà come e chissà perché alle porte della Capitale, diventa prima “la storia” delle iniziative sulla Liberazione a Pomezia, poi un fumetto disegnato dalla vulcanica presidente dell’Anpi locale, Francesca Gatto, entra nelle scuole romane con uno studente che ci fa perfino la tesina, incrocia l’interesse e la passione della regista Eleonora Napolitano sfociando nell’idea “folle” di realizzare con gli allievi del suo laboratorio una pièce teatrale.
Mi chiedono un adattamento teatrale del libro, scrivo la mia prima sceneggiatura, Eleonora e undici allievi del suo laboratorio fanno il resto. Il progetto va in porto, lo spettacolo viene messo in scena in anteprima nella piazza di Pomezia il 25 aprile di quest’anno davanti a un pubblico numeroso che apprezza, si emoziona, ci stimola a portarlo dove questa storia è nata. E ora “La ragazza ribelle” torna, in forma teatrale, nella sua città. L’amministrazione comunale ha adottato l’iniziativa e l’ha inserita tra gli eventi per celebrare il 79esimo Anniversario della Liberazione (17 dicembre 1944). Martedì 12 dicembre a Faenza, sul palco della Sala Fellini (ingresso libero fino a esaurimento posti, inizio alle ore 21), ci saranno nove “Nunziatine” e due narratori maschi fuori campo a raccontare la sua storia. E la ”Nunziatina” vera sarà l’ospite d’onore in sala. Mi vengono i brividi solo a pensarlo. La sera prima, lunedì 11 dicembre sempre alle 21, grazie al sostegno dell’Anpi bolognese e delle Cucine Popolari e al patrocinio del Quartiere Navile, lo spettacolo teatrale andrà in scena nella Sala Piazza di via Marco Polo 51 a Bologna.

Intanto gli ex-studenti del Liceo artistico di Faenza lavorano alla realizzazione di una corposa graphic novel che racconta la vita avventurosa di Annunziata Verità. Anche questa una curiosa storia nella storia. In quinta la loro insegnante, Monica Liverani, diede da leggere in classe “La ragazza ribelle” e mi contattò per chiedere una collaborazione a un altro progetto “folle”. Così ho portato il gruppo a conoscere “Nunziatina” e nei luoghi dove tutto accadde: la casa in collina dove Annunziata era sfollata con la famiglia, il paese dove fu arrestata, la villa del comando della Brigata Nera dove venne condannata a morte, il cimitero dove avvenne la fucilazione, i monti dove trovò la salvezza. Gli studenti si sono appassionati alla storia, hanno cominciato a disegnare le scene, a colorarle, a elaborarle con le moderne tecniche digitali, a scrivere i testi. Le pagine e le tavole che ho potuto vedere sono bellissime. Ma una graphic novel di cento e passa pagine è un’impresa difficile da realizzare. Anche perché, nel frattempo, l’anno scolastico è finito, i ragazzi del gruppo si sono tutti diplomati, ora qualcuno è all’Università, qualcun altro lavora, e il progetto è ancora a metà. Ma hanno deciso di portarlo avanti comunque, nel tempo libero. Determinati a concludere l’opera, incoraggiati anche dall’Amministrazione comunale che si è impegnata a cercare i fondi per consentirne la pubblicazione. Sono sicuro che ci riusciranno. Il viaggio della ragazza ribelle continua.

venerdì 22 settembre 2023

Il centenario di Sergio Zavoli: i ricordi e le foto con lui per il libro su San Marino "comunista" che conservo gelosamente

Ieri, 21 settembre, nel centenario della nascita, la Rai ha dedicato docufilm, approfondimenti e l'intero palinsesto di Rai Storia a Sergio Zavoli. Rimini, la sua città adottiva (quella di nascita è Ravenna) lo ha ricordato per due giorni con spettacoli e iniziative varie, tra cui la presentazione del libro di Gianfranco Miro Gori "Provinciali del mondo. Zavoli, Fellini e l'immaginario riminese". A me piace commemorarlo con questo ricordo e un po' di immagini personali, che quando ci penso o le rivedo mi commuovono ancora. 
Era il 25 ottobre del 2012, un giovedì pomeriggio, quando nella Sala del Giudizio del Museo della Città di Rimini presentai per la prima volta il libro “Gli intrighi di una Repubblica”. E’ la storia semi sconosciuta di quando San Marino fu – dal 1945 al 1957 – l’enclave e il simbolo del comunismo in Occidente. Con i socialcomunisti che governavano e continuavano a vincere tutte le elezioni anche dopo la vittoria della Dc in Italia del 1948. Tanto che per cancellare l’onta di quella minuscola macchia rossa che disturbava l’immagine del “mondo libero”, fu organizzato negli Stati Uniti - dalla Cia, con la supervisione di Nixon e la collaborazione del Governo Italiano guidato dal democristiano di Predappio, Adone Zoli - un vero e proprio colpo di Stato.

La locandina della prima presentazione 
Fu Sergio Zavoli a incoraggiarmi a scrivere il libro. Ero andato da lui in cerca di informazioni perché sapevo che conosceva bene San Marino, dov'era sfollato con la famiglia durante la guerra. Sentiva un debito di riconoscenza verso la più antica Repubblica del mondo, di cui era stato anche presidente della sua Tivù di Stato. Ricordo che quando gli parlai del progetto, la prima cosa che mi disse fu: “Finalmente qualcuno che ha voglia di raccontare questa storia. Ti aiuto io a cercare i personaggi che l’hanno vissuta e sanno tutto. Tu intanto potresti cominciare a scrivere di quella volta che il governo socialcomunista per resistere allo strangolamento economico sistematico con cui l’Italia provava a farlo cadere, decise di aprire un Casinò. E l’iniziativa ebbe talmente successo che per impedire a tutta la Riviera di andare sul Monte Titano a giocare, il Governo Italiano mandò i blindati a chiudere i confini”.
Una vicenda che ha dell'incredibile: pensate, i comunisti che aprono un Casinò per rinsanguare le esangui casse dello Stato; i democristiani e la chiesa che gridano allo Stato rovina famiglie e fanno il diavolo a quattro per farlo chiudere; il governo italiano che manda l'esercito. Un particolare che non conoscevo e che mi diede la spinta decisiva a scrivere il libro. 

Fondamentale fu anche il contatto che Zavoli mi diede di Giovanni Michelotti, scomparso alcuni anni fa, per un quarto di secolo vice di Torriani e deus-ex-machina del Giro d’Italia, un grande personaggio che negli anni della guerra fredda tra San Marino e l’Italia si trovava dall’altra parte della barricata: era emigrato in America e venne incaricato dalla Dc di chiamare alle urne i sanmarinesi americani per sconfiggere i rossi alle elezioni del 1955. Organizzò un charter dagli Usa per portarli a votare, ma anche quella volta rivinsero i socialcomunisti e dopo non c’era più nessuno disposto a pagare il viaggio di ritorno. Michelotti e i suoi amici democristiani dovettero rimanere un mese in attesa a Roma, ospiti del Vaticano.

Sul palco del Teatro Titano a San Marino
Il libro andò bene e in particolare a San Marino, dove quella ferita è ancora aperta, fece parecchio parlare di sé. Ebbe buone recensioni, se ne interessò in più occasioni anche la Rai e in seguito furono anche acquistati i diritti per farci un docufilm, che purtroppo non è stato fatto ma che ancora oggi quella storia da film meriterebbe.

Quando finii di scriverlo, lo mandai a Sergio e gli chiesi se era disposto a scrivermi la prefazione. Lo fece con una passione e una cura che mi stupì. Scrisse in modo molto generoso del libro e di me. Volle rivedere anche le virgole, e per ben tre volte, il testo prima dell'ok si stampi. Poi accettò volentieri l’invito per venirlo a presentare a Rimini e a San Marino, nel Teatro Titano. Venne a presentarlo perfino a Brisighella, qualche tempo dopo. Bellissime iniziative, con le sale piene e lui che incantava le platee con quel suo modo unico e affascinante di raccontare.

La presentazione a Brisighella


Sempre a Brisighella
A San Marino fece una cosa che mi intenerì. Lui nel dopoguerra aveva girato un bellissimo documentario su San Marino. Si intitola "Il Monte" e racconta la storia e i riti della Repubblica, ma anche la generosità dei sanmarinesi durante la guerra, quando il Titano – che rimase neutrale nel conflitto – accolse ben centomila sfollati da Rimini e dalla Riviera. 

Gli sfollati dormivano nelle gallerie della ferrovia Rimini-San Martino che oggi purtroppo non c’è più, e al mattino presto qualcuno passava a portare il pane caldo che i fornai del Titano preparavano per loro. C'erano anche le immagini di quella vita da sfollati nel video di Zavoli, che però durava un’ora e mezzo e non si poteva proiettare per intero alla presentazione di un libro. Ebbene, quando glielo feci presente, invece di esserne contrariato, mi disse di non preoccuparmi, si accordò con la Tivù di San Marino e il giorno della presentazione si mise lì, alla moviola, con un montatore, per un paio d'ore, a fare di quel video una versione ridotta, adatta alla  presentazione del libro. Poi me la lasciò. La conservo ancora come una reliquia.


L'esercito italiano al confine di San Marino
La prima pagina della prefazione























Negli ultimi anni della sua vita ogni tanto ci sentivamo. Un paio di volte lo sono andato a trovare al Senato, quando lavoravo anche a Roma. Era, sempre, di una gentilezza e di una signorilità squisita. Delle tante cose belle e grandi che ha fatto nella sua lunga vita di giornalista televisivo, scrittore, poeta, politico, altri hanno scritto e scriveranno ancora tanto. A me piace ricordarlo per quella sua generosità autentica. Un pensiero affettuoso caro Sergio e grazie di cuore. 

domenica 9 luglio 2023

Addio a Giorgio Piancaldini, uno dei testimoni dell'eccidio dei martiri senza nome a Casale di Brisighella

 

Amilcare Piancaldini con la moglie
e i tre figli: in basso Giorgio.

È morto un altro degli ultimi testimoni delle stragi nazifasciste che tra l’estate e l’autunno del 1944 insanguinarono l’appennino tosco-emiliano: Giorgio Piancaldini, figlio di Amilcare, fucilato assieme ad altri quattro giovani a Casale di Brisighella il 4 agosto 1944. Un episodio di cui si era persa la memoria, che ho ricostruito e raccontato nel 2018 nel libro “L’eccidio dei martiri senza nome” (Pendragon). Senza nome perché tre delle cinque vittime sono tuttora ignote. Assieme all’Anpi di Brisighella riuscimmo invece a rintracciare i parenti delle altre due e - attraverso loro e ad altre testimonianze e ricerche – a ricostruire i fatti. Un lavoro che ha portato alla creazione di un luogo della memoria, con una stele realizzata dall’artista Mirta Caroli e, dal 2017, all’inizio di agosto, alla commemorazione dell’eccidio.


Giorgio se n’è andato da qualche mese ma l’ho saputo soltanto ieri. Abitava a Prato. L’avevo visto l’ultima volta alla cerimonia dell’anno scorso a Casale, poi eravamo andati a pranzo assieme. Stava ancora bene, qualche mese dopo si è ammalato. Mi dispiace molto. Ne approfitto per rivolgere attraverso queste righe un pensiero e un abbraccio a tutte le persone che l’hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, e per riproporre un pezzo della sua storia.


Amilcare Piancaldini, suo padre, era originario di Piancaldoli in provincia di Firenze e nell'estate del 1944 aveva 36 anni. La sua era una famiglia poverissima, che tirava avanti lavorando un piccolo "ronco". Per tentare di sfuggire alla miseria, i Piancaldini si trasferiscono prima a Barberino del Mugello, poi a Prato, dove il nonno trovò lavoro in una tintoria. Alla fine degli anni Venti Amilcare sposò la giovanissima Egina Capacci, classe 1915. Dalla loro unione nacquero tre figli: Francesca, Piero e Giorgio. Anche Amilcare lavorava in tintoria, mentre la moglie andava a servizio. Poi arrivò la guerra e dopo i primi bombardamenti alleati su Prato la famiglia decise di sfollare a Capanne, sui monti dell’appennino tosco-emiliano, dove abitava la nonna di lei.

“Era una casa contadina, isolata, non distante da a un piccolo borgo - mi raccontò Giorgio Piancaldini, l’unico figlio superstite di Amilcare -. Dopo l'8 settembre nella zona ci fu una retata dei nazifascisti. Cercavano i disertori e i maschi abili alla guerra per mandarli al fronte o deportarli in Germania. A chi veniva preso, tuttavia, era lasciata un’alternativa: andare a lavorare per la Todt, la grande struttura paramilitare tedesca impegnata nella costruzione della Linea Gotica. Il babbo, che doveva sfamare la famiglia, decise di andare: lì almeno la paga era assicurata”.

Quando nell'estate del 1944 l'avanzata degli Alleati verso Nord raggiunge i monti della Romagna-Toscana e comincia perforare la Linea Gotica, il capo squadra della Todt raduna i lavoratori presenti nel cantiere a monte di Bagno di Romagna e dice a tutti di tornarsene a casa. Amilcare Piancaldini si incammina assieme a un gruppetto di compagni lungo la strada che conduce alle Balze di Verghereto. Sono euforici, pensano che sia finalmente finita, di essere liberi. Ma una pattuglia di camicie nere li scambia per “ribelli”, li ferma, li conduce a Sarsina, dove vengono interrogati e picchiati. Al termine, sono quasi tutti rilasciati tranne Amilcare e due parenti della moglie Egina, che vengono arrestati e portati nel carcere politico delle SS in via Salinatore, a Forlì. Non si è mai saputo bene perché.

Con Giorgio Piancaldini
“Da quel che sono riuscito a sapere – mi raccontò Giorgio - i fascisti fermarono i maschi più giovani e il babbo perché sospettavano che fossero disertori che si erano rifiutati di combattere con i repubblichini di Salò, o comunque antifascisti. Mio padre però non si era mai interessato di politica, la sua preoccupazione era quella di mantenere la famiglia e non finire deportato. Dopo l'arresto, mia madre lo cercò a lungo ma senza esito. Mio zio andò diverse volte a Sarsina, poi a Forlì, ma nemmeno lui ottenne notizie precise. Intanto senza più l'aiuto del babbo rischiavamo di morire di fame. La mamma, colta dalla disperazione, decise di tornare con noi figli, a piedi, nella casa di famiglia, a Prato. Durante il percorso bussò a diverse case per avere un riparo per la notte e qualcosa da mangiare. Impiegammo diversi giorni e quando arrivammo la casa era stata devastata e saccheggiata di ogni cosa, non c'erano più nemmeno i letti. Ci sistemammo alla bell’e meglio, da disperati. Poi mia madre riuscì a trovare lavoro a servizio nella casa di un avvocato e mia sorella, che all’epoca aveva ormai 13 anni, andò a lavorare in una fabbrica di tessuti a Prato. Io, che di anni ne avevo sei, venni messo in un istituto di suore e preti assieme a mio fratello più piccolo. In quel collegio però stavo male, ci davano solo pane e acqua, più volte tentai di scappare, ogni volta mi ripresero e mi riportarono indietro. Così rimasi cinque anni in quell'istituto. Tra fame e tristezza, peggio della galera. Mia madre ogni tanto riusciva a portarmi qualcosa da mangiare, ma io continuavo a tentare di scappare. Quando avevo undici anni, mia madre mi disse che se proprio non fossi voluto più stare lì mi avrebbe riportato a casa, a patto che andassi anch’io a lavorare e l’aiutassi a badare mio fratello piccolo. Accettai con gioia. Cominciai a lavorare in un laboratorio tessile, facevo i filati, guadagnavo cento lire a settimana, ogni giorno portavo a scuola il mio fratellino, lo andavo a prendere a fine lezioni e lo tenevo con me in fabbrica fino a sera”.

La presentazione del libro nel teatro
di Brisighella, nel 2018
Egina Capacci, che pur non avendo notizie si è ormai rassegnata alla perdita di suo marito, nell'autunno del 1945 riceve una comunicazione dal Comune di Brisighella. Nel cimitero di Casale hanno aperto una fossa comune e hanno trovato cinque poveri corpi in decomposizione, uno sull'altro, irriconoscibili. Due però avevano ancora in tasca dei documenti. Uno è il tesserino di Gino Carnaccini, venticinquenne di Forlì, una disabilità al piede, impiegato dell’Annona a San Donà di Piave, tornato a casa in licenza e arrestato sul Ponte di Schiavonia mentre sta cercando di recuperare in Posta una lettera che la sua ragazza gli ha scritto. Un altro arresto senza motivo, a caso, come quello di Piancaldini. Sotto di lui, mischiato assieme agli altri tre cadaveri privi di documenti che verranno classificati come "ignoti", c'è il corpo di Amilcare, riconosciuto dal tesserino della Todt che portava con sé.

Una volta identificato il cadavere, il Comune scrive a Egina. “Mia madre andò a Brisighella, gli fecero vedere i pochi effetti personali di papà, riconobbe gli zoccoli che portava sempre ai piedi. Poi, siccome era troppo povera per poter pagare il trasferimento della salma e la sepoltura a Prato, decise di lasciarlo lì, nel cimitero di Casale”. Amilcare venne sepolto in terra, in una cassa di legno povero, sotto una semplice croce anch'essa di legno. “A visitare la sua tomba andai per la prima volta negli anni Cinquanta. Mi ci portò mio cognato. Ricordo la croce di legno vicino alla cappella e al muro di cinta del cimitero. C'era il nome, la data di nascita e di morte. Qualche anno dopo l’hanno dissotterrato e hanno messo i suoi resti nell'ossario”.

“Di lui vivo ho pochissimi ricordi – mi raccontò Giorgio Piancaldini - ero troppo piccolo allora. Però mi è rimasta in mente l’immagine di lui quando, a Capanne, lo vidi arrivare dalla stradina che portava alla casa della nonna con sottobraccio un cavallino a dondolo. Ci ho giocato tanto con quel cavallino. Dalle testimonianze che ho raccolto da grande e dai racconti di mia madre, ho capito che era una persona semplice, generosa, che si adoperava per gli altri. I vicini dicevano che al sabato e alla domenica, quando non lavorava per la Todt, andava ad aiutarli nei lavori nei campi. Mamma invece mi ha sempre detto che lei e il babbo erano molto innamorati”.

sabato 20 maggio 2023

L'alluvione in Romagna e i piedi nel fango del governo e della sinistra che vorrei

 

Con un evento così eccezionale – una quantità di pioggia mai vista e una ventina di fiumi esondati contemporaneamente – probabilmente non c’era pezza, la Romagna sarebbe finita sott’acqua a prescindere. E di fronte a una simile catastrofe la prima cosa che ti viene in mente è di prendere una pala e andare ad aiutare chi si è visto portare via tutto dall’alluvione. È il tempo in cui tutti – istituzioni, protezione civile, esercito, strutture operative, associazioni, tecnici, singoli cittadini – sono chiamati a rimboccarsi le maniche e a fare il possibile per contenere i danni. Non è il tempo delle polemiche. Però ci sono alcune cose che mi frullano dentro da quando la dimensione della tragedia è apparsa chiara. Nell’ondata di mobilitazione e solidarietà che ha subito seguito l’onda di piena - sindaci con sempre meno fondi e mezzi a disposizione che fanno miracoli per stare sul pezzo e dare risposte, strutture e volontari della protezione civile che come sempre si fanno trovare pronti, la popolazione non colpita che accorre a dare una mano a quella ferita, i ragazzi che si organizzano su whatsapp e sui social e vanno di loro sponta a pulire le case allagate, le colonne di aiuti che cominciano ad arrivare da diverse regioni – ha spiccato per la sua assenza il governo.

Sì, Piantedosi ha sorvolato in elicottero le zone alluvionate, Musumeci si è fatto vedere a Bologna, Brichetto Fratin ha rilasciato interviste, ma nelle città più colpite non si è ancora visto nessuno. E per una volta bisogna rendere merito al sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti Galeazzo Bignami, sì, quello che per fare il goliardo si vestiva da nazista, che ha girato nei luoghi del disastro, è stato visto in incognito a Cesena da Diego Bianchi di Propagandalive la notte dell’alluvione e a Monterenzio a “scavare a mani nude” in una strada, come ha scritto il Resto del Carlino, anche se in questo caso l’incognito è sospetto dal momento che gira un video con lui a spostar sassi dalla strada. Forse era lì per rimediare alla figuraccia rimediata dal suo capo con il tweet da San Siro sul derby di champions mentre veniva giù il mondo. Tweet poi cancellato, raddoppiando la bella figura.

Ma l’assenza del signor Presidente del Consiglio e dei suoi ministri nei luoghi del disastro si è notata e a me personalmente ha dato fastidio. Direte: era partita per l’Islanda, poi doveva andare al G7 in Giappone, aveva importanti impegni internazionali. Tutto vero. Ma a me tornano in mente altre sciagure nazionali, Pertini, Mattarella, altri Presidenti del Consiglio. Persone che si sarebbero fatte trovare sul pezzo, sarebbero stati lì qualunque altro impegno avessero, con i piedi nel fango, come i sindaci oggi, a testimoniare che lo Stato c’è.

Invece finora “loro” l’hanno guardata da lontano la catastrofe. Hanno fissato il primo Consiglio dei ministri non all’indomani, ma dopo un a decina di giorni, martedì 23 maggio. Hanno promesso che in quella sede vareranno un decreto aiuti “adeguato alle necessità”. E magari sarà pure vero, ci stupiranno, presenteranno un piano che non avrà niente da invidiare a quello delle bonifiche delle valli alluvionate di quando c’era Lui. Forse sarà proprio per questo, per le garanzie che gli hanno dato, che Bonaccini ha detto e ripetuto di sentire la vicinanza del governo, di apprezzare l’impegno che Meloni, Salvini & Co. gli hanno assicurato. Così, sulla parola. E forse sarà per questo se stavolta anche Mattarella è rimasto stranamente a distanza. Ma per ora il governo ha stanziato trenta miseri milioncini. Ha detto che per i danni bisognerà poi vedere caso per caso, comune per comune. Ha sorvolato sul parallelo fatto da Bonaccini con l’entità dei danni del terremoto del 2012, quando l’allora presidente della Regione, Errani, riuscì a portare a casa sei miliardi da governo Monti. E ha scartato prima ancora di esaminarla la proposta della segretaria Pd di dirottare parte dei fondi del PNRR sul dissesto idrogeologico. Mentre i giornali di destra che sostengono la maggioranza continuano a sparare titoli sulle responsabilità della sinistra che governa da sempre l’Emilia-Romagna.

Per par condicio, confesso che nemmeno la “postura” – come va di moda dire oggi – assunta dall’opposizione sulla catastrofe mi ha finora convinto. Va bene la proposta di Schlein di “spostare risorse del PNRR per la prevenzione e messa in sicurezza del territorio”. Va bene l’invito del Pd “all'unità e alla coesione nazionale” e anche la collaborazione offerta al governo di fronte a simili disastri. Mi farà piacere se i circoli del partito si metteranno “a disposizione dei territori per questa emergenza”. Ma dal Pd e dalla Schlein in particolare mi aspetterei posizioni molto più radicali e politiche coerenti sul contrasto alla crisi climatica, per la transizione energetica, contro il dissesto idrogeologico e il consumo di suolo. A partire dall’Emilia-Romagna. Altrimenti viene il sospetto che sia più apparenza che sostanza. Perché se è sostanza bisogna dire chiaramente che questo nostro modello di sviluppo non regge più, che è necessario cominciare a produrre, consumare e vivere diversamente se vogliamo davvero smettere di vedere queste catastrofi, se non vogliamo uccidere questo nostro mondo e suicidarci con lui.

Nell’uno e nell’altro caso spero che i miei timori vengano smentiti da scelte chiare e convincenti sia del governo sia della sinistra. Ma come diceva il più smaliziato di tutti, “a pensar male si fa peccato ma a volte ci si prende”.