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domenica 12 febbraio 2012

Torna Concorsopoli per i posti da giornalista. C'è chi neppure chiede più l'iscrizione all'Albo

Alla Concorsopoli dei giornalisti ho dedicato un bel po' di lavoro nel 2010. Ho raccontato in diversi articoli pubblicati su media locali e nazionali come andavano le cose nelle amministrazioni pubbliche.
Ho documentato come la gran parte dei bandi di concorso per le assunzioni a tempo indeterminato o a termine di giornalisti, o l'affidamento di incarichi giornalistici (Cococo, Cocopro, consulenze, partite Iva) fosse redatta in maniera non conforme alla legge istitutiva dell'Ordine, alla legge 150 per gli uffici stampa pubblici e alla legge che regola gli incarichi professionali specialistici nella pubblica amministrazione.
Ho denunciato il malcostume dilagante dei bandi ad personam, dove il ricorso a concorsi e selezioni pubbliche non era la pratica corretta per assumere i più bravi, ma lo strumento usato da politici e amministratori per pararsi il sedere nelle assunzioni e negli incarichi "fiduciari".

Ho anche segnalato che in molti casi i bandi erano inappropriati non per malafede ma per ignoranza dei dirigenti della PA in materia giornalistica, sia per quanto riguarda l'accesso alla professione sia per quanto riguarda la parte contrattuale. Faccio tre esempi:
- secondo le norme che regolano la professione giornalistica, per partecipare a un concorso da addetto stampa e lavorare nel pubblico basta l'iscrizione all'Albo e a tutt'oggi non sono previsti titoli di studio specifici; tali titoli, come altre specializzazioni o esperienze, possono fare curriculum, dare punteggio ma non possono essere requisiti per la partecipazione alla selezione;
- la legge consente agli Enti locali che hanno la volontà politica di farlo, oltre che alle Regioni che lo fanno ormai di prassi, di assumere i colleghi applicando il contratto giornalistico, ma quasi nessuno lo fa (nel bolognese l'ha fatto solo il Comune di Sasso Marconi, e la delibera è stata approvata dal Comitato di controllo).
- secondo il testo unico degli Enti locali, invece, per accedere a incarichi di categoria D nella Pubblica amministrazione, come di solito vengono inquadrati i colleghi, serve la laurea.

Anche da questo mio lavoro di inchiesta e denuncia è nata l'iniziativa della Fnsi che ha portato, tempo fa, alla stesura di un bando virtuoso per le contrattualizzazioni dei giornalisti nella PA. E, nel novembre scorso, approvando la carta dei doveri dei giornalisti degli uffici stampa, il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ha approvato all'unanimità un ordine del giorno da me proposto che sollecita iniziative congiunte Ordine-Sindacato per promuovere tale bando nelle pubbliche amministrazioni. Purtroppo, a tutt'oggi, non s'è fatto ancora nulla, o quasi, in tale direzione.

In un caso, all'Ausl di Mantova, questo mio lavoro su Concorsopoli ha portato alla sospensione della selezione del fiduciario di turno attraverso il solito bando semiclandestino cucito su misura(anche se immagino che sarà stata reiretata in seguito in altra forma, ma non ho notizie aggiornate). In un altro caso, alla Regione Calabria, il bando era così smaccatamente personalizzato (ricordo che era un incarico da 120mila euro lordi l'anno per dirigere un giornaletto istituzionale on-line) che alzai il telefono ed ebbi un acceso diverbio col dirigente regionale incaricato, al quale annunciai ricorso; lo feci e lo trasmisi con tutti i crismi di legge. Ebbene: non mi è mai arrivata neppure la ricevuta di ritorno della raccomandata.

In altri due casi l'Ordine dei Giornalisti e il Sindacato sposarono la mia personale battaglia e sostennero due ricorsi con l'obiettivo di mandare un segnale più incisivo teso a fermare quelle pratiche vergognose.
- A Trento, dove la Provincia aveva fatto un bando per l'assunzione del capo ufficio stampa che metteva dei requisiti assurdi, come ad esempio un'esperienza di almeno 8 anni come vice o capo servizio per poter accedere alla selezione. Feci la domanda e, una volta escluso, il ricorso. La Provincia mi riammise con riserva e mi fece partecipare alla selezione, che fu comunque vinta da chi doveva essere vinta. E' finita che il Tar ha respinto il ricorso mio e del sindacato con la motivazione che un pronunciamento di merito sarebbe stato comunque ininflente, dal momento che io ero arrivato solo quinto (???).

A Bologna l'Università ha fatto invece una selezione per affidare all'esterno un incarico professionale a termine (Cococo) all'ufficio stampa, e ha chiesto come requisito obbligatorio la laurea, pur in presenza di un decreto legge del governo Berlusconi che in questi casi non la prevede, considerando l'esame di Stato da giornalista professionista sostanzialmente equivalente all'alta professionalità richiesta. Il presidente dell'Ordine, che era stato chiamato a presiedere la commissione d'esame, segnalò l'incongruenza, chiese che venisse corretta e quando l'Università comunicò che non si cambiava un bel niente, rinunciò all'incarico. L'Ordine sostenne il ricorso al Capo dello Stato. Nel frattempo la selezione è andata avanti e una collega ha ottenuto l'incarico. Il Consiglio di Stato ha poi respinto il ricorso, singolarmente non con una motivazioni di merito (non ha detto, perchè non poteva dirlo, che ci voleva la laurea per partecipare alla selezione) ma con la motivazione che l'incarico era coperto da fondi ordinari dell'Ateneo, quindi di fatto non si configurava come prestazione specialistica esterna. E' anche finita, per raccontarla tutta, che un collega di Senza Bavaglio ha scritto su un blog che Ordine e Sindacato avevano fatto ricorso per fare un favore al sottoscritto, non per una giusta causa; e che io col ricorso ritardavo l'incarico alla collega (Il collega in questione dovrà ora rispondere all'Ordine della diffamazione e violazione delle norme deontolgiche che gli ho contestato).

Ora mi segnalano due nuovi casi. Uno alla Regione Sardegna, dove è uscito un bando per assumere 4 colleghi con la qualifica di capo servizio. Tra i titoli richiesti, c'è la conoscenza della lingua sarda (?!?). Pare - mi dice il mio amico Giancarlo Ghirra, segretario nazionale dell'Ordine - in virtù di una recente legge regionale che equipara la Sardegna alle Regioni bilingui; da qui la possibilità di un consigliere di intervenire in sardo e della capacità dei colleghi che saranno assunti di tradurli.
L'altro, che mi pare davvero clamoroso, alla Fondazione Cineteca di Bologna dove un bando per assumere a tempo indeterminato il capo ufficio stampa non prevede l'iscrizione all'Albo dei giornalisti, in compenso chiede altri titoli (la laurea, la conoscenza della lingua inglese, tre anni di esperienza in materia di cinema) che per legge non possono essere requisiti obbligatori per partecipare. La stessa cosa avviene anche per altri due concorsi, per "redattori", dove pure non è richiesta l'iscrizione all'Albo pur essendo le mansioni richieste prettamente giornalistiche.

Mi pare che in questo ultimo caso venga più o meno esplicitamente messa in discussione la funzione stessa dell'Ordine. Se si lascia passare che non bisogna neppure più essere giornalisti iscritti all'Albo per fare questo mestiere, che il giornalista e il capo ufficio stampa lo può fare chiunque, vuol dire che l'Ordine è morto e che la liberalizzazione delle professioni, anzi, la deregulation della nostra professione, è ormai cosa fatta.

Porterò il caso al prossimo Consiglio nazionale dell'Ordine. Ai colleghi impegnati nei vari organismi, enti e sindacato, dico: lo so che è difficile andare controvento, nuotare controcorrente, ma non si può accettare questa deriva. Reagite, battete un colpo prima che anche la nostra professione venga non riformata ma cancellata dalla crisi.

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